Generazioni di studenti e di insegnanti piangono la scomparsa di una professoressa straordinaria che – didatticamente attiva per oltre sessant’anni – ha lasciato in tanti allievi un segno davvero indelebile.
Maria Luisa, la cui prima infanzia fu tragicamente sconvolta dallo tsunami della guerra ha narrato anche recentemente, con legittimo orgoglio, le sue umili origini a Vìgnola, paese di gente semplice, laboriosa e solidale, immune dai virus della competizione e dell’invidia, dove si sentì avvolta da tanto calore umano e, trovando conforto nel magico spettacolo della natura, poté crescere “ricca di niente, cioè di tutto: sensibilità, gioie trovate nelle piccole cose, quelle che addizionate fanno la felicità…”: “Di poco esser contenti” è il titolo, eloquente, del suo ultimo poetico racconto autobiografico da lei scritto con amore per il libro a più mani “Sembra ieri!”, pubblicato poche settimane fa dall’UniTre pontremolese di cui – oltre che socio fondatore – è stata per tanto tempo sensibile dirigente, dinamica direttrice dei corsi e, fino all’ultimo, insegnante appassionata e particolarmente apprezzata.
Docente di ruolo di Lettere a seguito di concorso nei primi anni ‘60, nelle scuole secondarie in cui ha operato (soprattutto l’Istituto Magistrale “Malaspina” di Pontremoli, dove – subito dopo Foligno – ha trascorso un intero trentennio ed è stata anche preside incaricata) ha ampiamente dimostrato, pur con la modestia che la contraddistingueva, la profondità di una solida cultura acquisita mediante studi classici intensi guidati dai più prestigiosi docenti dell’ateneo pisano e sviluppati poi in autonomia – fianco a fianco con il suo amato Vasco – con un costante, prezioso arricchimento personale. Si è rivelata fin dagli inizi puntuale, rigorosa ed esigente, con sé stessa prima che con gli altri. Ha visto alternarsi sui banchi di scuola i giovani contestatori un po’ velleitari del ’68 e i ragazzi tanto diversi del periodo successivo (l’età del riflusso) – che non protestavano, ma forse non sapevano più sognare – e nell’esercizio quotidiano della sua professione si dev’essere spesso domandata cosa, come e perché insegnare: quali fossero i saperi irrinunciabili nell’odierna società della conoscenza; che cosa – della cultura che ci ha alimentato e che ha costituito per noi una bussola indispensabile anche nelle tempeste della vita – fosse da salvare e da additare agli alunni con entusiasmo e con determinazione in un mondo che cambia troppo in fretta e incrina inesorabilmente le vecchie certezze; come fosse possibile aiutare le nuove generazioni a scuotersi, a riconquistare l’ottimismo della volontà, a volare in alto, a porre le fondamenta di una cultura nuova, libera, aperta, cosmopolita, capace di coniugare vecchi e nuovi saperi in un’ottica umanistica e non cinicamente, perversamente utilitaristica.
Ed ha continuato sino alla fine a interrogarsi sul come promuovere una cultura di pace, di accoglienza e di solidarietà, manifestando una grande, inesausta curiosità, avulsa da atteggiamenti misoneisti e nostalgici e, al contempo, tenacemente avvinta alla grande lezione dei classici, la cui conoscenza diretta, generata da uno studio impegnativo e faticoso, mai effimero o superficiale, può davvero orientarci alla vita ed esserci d’aiuto nei momenti in cui più si dispera.
Angelo Angella